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13 may 2020 / News

Dal Messaggero del 12 maggio 2020: Matteo Collura, Il diavolo in affitto e la Storia che torna

«Sulle analogie tra la pandemia Covid-19 e il contagio della peste raccontato nei Promessi sposi, ormai sappiamo tutto. Una cronaca, quella di Alessandro Manzoni, palpitante di partecipazione e come ripresa dal vivo. Un resoconto ricavato dalla testimonianza che ne lasciò lo storico e latinista Giuseppe Ripamonti (1573-1643). È lo stesso Manzoni, nel trentunesimo capitolo del romanzo, ad affermare che tra le tante relazioni da lui consultate, “quella del Ripamonti le supera tutte, per quantità e per la scelta dei fatti, e ancor più per il modo d’osservarli”. L’autore di Fermo e Lucia lesse la cronaca di Ripamonti in latino; un latino che gli specialisti hanno sempre definito di grande eleganza. Noi oggi possiamo leggerlo in un gradevole italiano, grazie alla benemerita edizione della Casa del Manzoni (2009). Libro prezioso, in cui il racconto di Ripamonti (De peste quae fuit anno MDCXXX libri V, magistralmente tradotto da Stefano Corsi) è accompagnato da una rassegna, a cura di Cesare Repossi, dei testi a confronto (del Ripamonti e del Manzoni) e da un saggio del presidente del Centro Nazionale Studi Manzoniani, Angelo Stella, godibile sul piano filologico e con acute annotazioni sull’attualità di entrambi i testi. L’esordio in Ripamonti: “Nell’accingermi a raccontare gli strali della pestilenza, le morti orrende, la città resa vuota dai lutti, il popolo decimato, la cancellazione anche dei concetti di lutto, città, popolo, e insieme del diritto naturale, avrò bisogno dell’indulgenza di quanti, nella loro prudenza di personaggi pubblici, leggendo di questi scenari spaventosi, disapproveranno me e un racconto tanto orribile…”. E perciò “Non sarà stato senza utilità avere rivolto l’attenzione a simili fatti: le menti assennate, altrove rimpinzate di inganni e dallo spettacolo dei cattivi maneggi, qui riconosceranno il costo degli errori e cominceranno a far giusto  conto delle realtà mondane che così profondamente le inquietano; s’intende quando vedranno che tante migliaia di persone sono morte a causa dell’alito avvelenato che si sono scambiate…”. Ripamonti parla di “alito avvelenato” non di untori, e questo è già da rilevare come perspicace intelligenza dei fatti. Anche se non può fare a meno di trascrivere quanto da lui visto e sentito: “Ci fu una voce ripetuta di continuo in città, anche presso la maggior parte delle persone assennate non irrisa come si sarebbe dovuto: che il diavolo aveva affittato un alloggio in Milano, nel quale aveva fissato la sua sede e la sua corte, nonché la sola dimora della sua attività, per far circolare e distribuire gli unguenti…”».

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