Alessandro Manzoni moriva il 22 maggio 1873: compiuti il 7 marzo 88 anni, età ancora patriarcale nel secondo Ottocento.
Aveva provato l’agonia il 6 gennaio, cadendo sui gradini della chiesa di San Fedele, la sua chiesa, all’uscita da messa. Silvano Nigro, in La funesta docilità (Sellerio, 2018), titolo preso significativamente a prestito dai Promessi sposi, esplora la mente confusa e inconsapevole di Manzoni, che rivive la vicenda della morte di Giuseppe Prina, vittima il 20 aprile 1814 di una ‘rivoluzione’ voluta da uomini saggi ma degenerata per l’odio popolare e le istigazioni dei violenti: un dramma di cui si era sentito sempre moralmente partecipe: ma l’adesione ideale che non aveva impedito un omicidio aveva in lui generato un rimorso ‘inestinguibile’: Nigro indica un tentativo di tardiva riparazione ‘freudiana’ nel salvataggio di Renzo dalla furia cieca della folla (Promessi sposi, XXXIV 65-69)
Il malore del giorno dell’Epifania era stato un avviso di ‘appressamento alla morte’: Manzoni riusciva per alcuni mesi a viverne, con attiva serenità, l’attesa, come indica l’allegata lettera del 28 febbraio (l’ultima sua a oggi conosciuta, giunta a questo Centro con le donazioni e l’eredità di Este Milani): si apprezza, con la grafia sicura, la misura di discrezione con cui viene richiesto il prestito del «Moniteur», per pochi giorni, certo a verificare ancora qualche dato sulla Rivoluzione francese, il tema delle sue ultime pagine, come lo era stato delle prime.
Manzoni conosceva sorella morte, frequentatrice assidua della sua Casa: Enrichetta, Giulia, Cristina, la madre, Sofia, Matilde, Teresa, Filippo lo avevano lasciato, tra il Natale 1833 e il febbraio 1868: l’ultima visita era avvenuta il 28 aprile, e aveva portato via il figlio primogenito Pietro.
Ma ormai la coscienza dello scrittore era altrove: la mano della Provvidenza e del destino non riconoscevano a lui la serena morte del giusto, auspicata nella estrema preghiera della Pentecoste: «brilla nel guardo errante di chi sperando muor».
La città di Milano, l’Italia, dedicherà il 29 maggio allo Scrittore esequie solennissime. Giuseppe Verdi, che non vi partecipa, temendo di non resistere alla troppa commozione, ne visita, con Giulio Ricordi, in solitario raccoglimento, la tomba, portando in dono all’amico venerato l’impegno per la messa da requiem, eseguita con la sua direzione il 22 maggio 1874 nella chiesa di san Marco.
Nel frattempo, la Casa di via Morone, dove Lui era vissuto per quasi sessant’anni, veniva messa all’asta, e, dato il disinteresse delle istituzioni, acquisita da privati. Solo nel 1937, grazie soprattutto a Giovanni Gentile, e alla Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, verrà recuperata come bene pubblico, e affidata in uso esclusivo e perpetuo al Centro Nazionale Studi Manzoniani per un continuo approfondimento critico dell’opera e della figura dello «Scrittore degli scrittori» (Gadda) e per la promozione culturale e civile.
(Angelo Stella)