In quel lontano penultimo giorno di 491 anni fa, «Bernardo Gatone priore | per gratia di Dio preservato | dalla peste » collocava sulla facciata della sua casa, prospiciente il Laghetto, una tela: vi era raffigurata la Vergine con il manto tenuto aperto da due angeli, con i santi protettori degli appestati, Rocco e Sebastiano, e Carlo Borromeo, che tanto si era prodigato nella pestilenza del 1576. In bassola veduta prospettica del Lazzaretto, e sulla destra il profilo del priore del paratico d’i tencitt, chi dice dei tintori, chi corregge dei carbonai, come promotore dell’ex-voto.
È una notizia che si leggeva nello storico volume di Achille Bertarelli e Antonio Monti, Tre secoli di vita milanese. 1630-1875, Milano Hoepli, 1927, e ora si può rileggere nella bella ristampa anastatica (2016 e 2021), alla p. 45, con titolo «Vera effigie di M. Vergine che si venera al Laghetto».
Gli apprezzati autori, cui deve andare anche la gratitudine dei lettori del digitale, rinviano a un saggio di Gian Pietro Bognetti («Archivio Storico Lombardo», dicembre 1923, p. 395), dove si osserva come nella tela il campo centrale del Lazzaretto sia occupato da tende, mentre i documenti del tempo vi collocano delle capanne: si chiede il grande studioso se Alessandro Manzoni, che parla di «misere tende», possa essersi fondato sulla rappresentazione dell’anonimo pittore e testimone secentesco.
È una constatazione amara, e forse per qualcuno vergognosa, osservare le condizioni attuali del quadro, leggibile, colori a parte, solo grazie a una silografia stampata a Milano nel 1840, e riprodotta nel volume citato (da cui viene ripresa).
Il 10 giugno 2015, un probo cittadino milanese, consigliere della Zona 3 del Comune di Milano, segnalava all’Amministrazione Comunale, e, per conoscenza, al CNSM, il cattivo stato di conservazione della tela, dove l’immagine del Lazzaretto appariva definitivamente cancellata: fortunatamente al Museo di Milano ne è conservata una bella copia, eseguita intorno al 1890 da G.B. Rastellini.
Da via Gerolamo Morone 1, ritenendosi, forse arbitrariamente, che il Centro Nazionale Studi Manzoniani avrebbe doverosamente ospitato quella testimonianza unica e religiosa della peste federiciana, se ne scrisse in data 16 luglio 2015 alla Soprintendenza e alle principali istituzioni che pure garantivano la vita e l’apertura al pubblico della Casa di Alessandro Manzoni.
Oggi, chiamiamo a sottoscrivere un estremo appello il titolare di quel anzi di questo «luogo sacro».