Camillo Cima (8 ottobre 1827 – 15 marzo 1908) è ricordato nei notiziari informatici come «poeta, pittore, commediografo, architetto, giornalista», riconoscimenti che vanno interpretati nello spirito del suo costante impegno politico e sociale, prima antiaustriaco e poi, antisistema, in una città di cui sentiva la vera anima popolare, dei Meneghini e delle Cecche, di serv e sartinn, di chi viveva El venter de Milan, la Milano anche dei Caffè e dei giornalismi (si rinvia almeno quel curioso al sonetto I becchée del giornalismo).
Alessandro Manzoni rimaneva per lui lo Scrittore, a dispetto di qualche «letterato minga bon / de fà el sò nomm o scriv tre righ in crôs», che «vedend de no podè eclissà Manzon, / el s’è daa al realismo pù ris’ciôs, / sicur che la Farfalla o el Pessimista / el proclamen on gèni a prima vista» (“letterato neppure capace / di fare il suo nome o scrivere tre righe in croce, / vedendo di non potere eclissare Manzoni, / si è dato al realismo più rischioso, / sicuro che la Farfalla o il Pessimista / lo proclamano un genio a prima vista”. Pessimista è lo pseudonimo con cui si firmava Felice Cameroni sul «Gazzettino Rosa»; «La Farfalla», uscita a Cagliari il 27 febbraio 1876, si trasferiva a Milano dal 30 settembre 1877, vivace stimolo critico della vita culturale fino al 23 ottobre 1883).
La casa di via Morone 1, dove il 22 maggio 1873 era morto Alessandro, dal 1874, nella disattenzione dei poteri pubblici, quelli di allora, era proprietà del conte Bernardo Arnaboldi Gazzaniga: non era uno sconosciuto per Camillo Cima, che poteva invidiargli le ricchezze: «anmì se in quai manera avess poduu / grattàgh a l’Arnabold quî poch sostanz, adess ve podarìa fà vedè / che mì voo a tir de quatter e lù a pè»: (anch’io se in qualche maniera / avessi potuto soffiargli all’Arnaboldi quelle poche sostanze, / adesso vi potrei far vedere / che io vado su un tiro a quattro cavalli e lui a piedi).
Ma forse è stato proprio grazie a questo signore che Cima ha potuto entrare in quella Casa, e lasciarne, a rimprovero per l’Amministrazione Comunale, quella d’antan, una testimonianza poetica, inconsapevole eco della profezia di Niccolò Tommaseo: «… verrà tempo di migliore età che la nostra, che gli uomini si recheranno a visitare la casa di questo grande Italiano, come luogo sacro».
La Cà de Manzon
(1879)
A vedè quij stanzett, quij scagn, quell tavol
e pensà a quell’omon
che g’ha passaa la vita in mezz tant temp,
se sent a streng el coeur…
e quasi ven el magon…
se g’ha finna paura a strusàgh dent,
se frega nanca i pè sul paviment!
E per l’effett de l’aria,
che la par quella d’una vera gêa,
se tira giò el capell, se fa on inchin
se cerca attacch a l’uss l’acquasantin.
(A vedere quelle stanzette, quegli scranni, quel tavolo / e pensare a quel grande uomo / che ha passato lì in mezzo la vita tanto tempo, / ci si sente stringere il cuore … / e quasi viene il magone … / si ha quasi paura a trascinarvisi dentro, / non si appoggiano neanche i piedi sul pavimento! / E per l’effetto dell’aria, / che pare proprio quella di una vera chiesa, / si tira giù il cappello, si fa un inchino, / si cerca vicino all’uscio l’acquasantiera).
Non si è tradotto magon con accoramento o nodo alla gola, perché l’italianizzazione del termine, voluta da Lucia, è ora approvata anche da Vasco Rossi.
Si ricorda così il dimenticato Camillo Cima, approssimandosi l’anniversario della sua nascita, mentre ci si prepara a ricordare Alessandro Manzoni, con la misura che è stata solo sua, a 150 anni dalla sua nuova residenza, chi la sappia riconoscere, nella dalla Casa di via Morone 1.
(Angelo Stella)