Un bentornati da via Morone 1.
Baldassar Castiglione tornava dalla sua Mantova a Roma il 13 luglio 1520, martedì. Una settimana dopo, chiudendo una lettera alla madre, ritraeva il suo stato d’animo nella città orfana del grande amico pittore:
Io son sano, ma non mi pare esser a Roma, perché non vi è più, el mio poveretto Raphaello: che Dio habbia quella anima benedetta.
L’autore del Cortegiano sapeva che la sua fama nel mondo sarebbe stata raccomandata, più che al trattato, al meraviglioso ritratto che l’amico gli aveva dedicato. E sapeva che Roma era diventata e sarebbe rimasta un’altra Roma, grazie a lui, grazie a loro, non ostante l’incompiuta urbanizzazione monumentale.
In questo difficile momento si sente che Raffaello, negato ai visitatori anche nella mostra al Quirinale, è richiesto a gran voce in presenza: lo si pensa con gli occhi alle sue opere, selezionate dal nostro desiderio di conoscenza o anche dalla nostra memoria scolastica e turistica, i suoi colori e i suoi volti.
Proprio perché la nostra Milano è in quarantena, è più bello e forse doveroso ricordare che qui Raffaello, il suo Sposalizio della Vergine, è accolto dalla Cena di Leonardo, dalla Pietà Rondanini di Michelangelo: i centenari, degli artisti come degli scrittori, devono essere insieme focalizzati e panoramici, perché loro, dalla pace elisia, chiedono di avere a fianco più maestri e allievi, i competitori, quelli che li hanno, anche animosamente, stimolati alla creazione.
Alessandro Manzoni, per quanto risulti a un suo ventiseiesimo lettore, si richiama una sola volta a Raffaello, ma lo fa da par suo, in una lettera a James Robert Hope Scott dell’8 maggio 1845. Il dotto inglese gli aveva fatto recapitare in dono un libro (non individuato dal pur bravissimo Arieti) di cui oggi, vorrei credere, gli eletti del circolo dei lettori sono tra i primi se non i primi ad avere notizia: si trattava di Scripture Prints from the frescoes of Raphael in the Vatican, testo dello stesso Hope (che non aggiunge ancora il secondo cognome di Scott) e di Lewis (Ludwig) Gruner, che lo consegnava di persona a Manzoni, nella sesta edizione appunto del 1845.
Manzoni commenta:
Si le nom du peintre n’y était pas, je suis sûr (non avrei gridato) qu’en les voyant, je me serais écrié: Ah! Raphael.
(Se il nome del pittore non ci fosse stato, io sono sicuro che, vedendole (le riproduzioni) mi sarei gridato: ah! Raffaello).
Non “avrei gridato” ma “mi sarei gridato”.
Il Manzoni neoclassico non poteva non tenere davanti ai suoi occhi il laico Parnaso delle stanze vaticane, dove vedeva figurate le Muse, le sei da lui ricordate, Calliope, Clio, Euterpe, Erato, Talia, e la più seducente Urania.
Il Manzoni autore dei Promessi sposi avrà certo immaginato che a dare un volto alla bellezza (virgiliana e leopardiana: Zibaldone 1256) della madre di Cecilia, bellezza «velata e offuscata, ma non guasta» fosse il pittore di una donna velata, di tante madonne, magari di una Madonna senza la seggiola o della Madonna con un diverso velo, e di un fiore reciso.