A cinquant’anni dall’apertura del Museo Manzoniano, in concomitanza di Expo 2015, Casa Manzoni si ripresenta al pubblico in una veste totalmente rinnovata, sulla base di un progetto elaborato dallo Studio De Lucchi. Il restauro, sostenuto da Intesa Sanpaolo in convenzione con il Centro Nazionale Studi Manzoniani, si è articolato in una complessa serie di operazioni, svolte in tempi estremamente rapidi, fra la primavera e l’autunno del 2015.
Vari i fattori che hanno garantito il risultato. In primo luogo, l’elevato numero di persone coinvolte. Hanno partecipato al cantiere 15 specialisti (9 donne e 6 uomini), tutti giovani – l’età media si aggira sui 30 anni – assunti a tempo indeterminato dalla società incaricata dei lavori. Il restauro, che ha previsto interventi su 5.800 mq di superfici interne (di cui 1.600 mq di decorazioni), oltre 300 mq di soffittature lignee a cassettoni, 250 mq di pavimentazioni storiche e 1.400 mq di facciate, ha comportato l’impiego di oltre 12.000 ore di lavoro.
La fase operativa è stata preceduta da uno studio molto articolato, diviso nelle seguenti fasi:
• sviluppo e completamento della ricerca storica e conoscitiva indirizzata ad acquisire le necessarie informazioni e consapevolezze in merito all’edificio e alle sue trasformazioni;
• sviluppo di un’indagine stratigrafica per l’individuazione degli strati soprammessi, volta alla definizione delle vesti cromatiche assunte dall’edificio nel tempo;
• sviluppo di una fase analitica di laboratorio indirizzata alla caratterizzazione dei materiali di finitura e delle loro condizioni di degrado.
Gli interventi sono consistiti sostanzialmente in “manutenzioni conservative” delle superfici edilizie, sia quelle esterne in cotto e intonaco sia quelle interne dipinte, diversificando i prodotti di impiego e la loro concentrazione o la diluizione secondo le porosità e gli assorbimenti dei diversi supporti.
Dal punto di vista concettuale le procedure di intervento hanno visto l’applicazione di criteri, largamente condivisi, che costituiscono i fondamenti metodologici della “conservazione”, ossia:
• Minimo intervento, cioè prevedere solo operazioni strettamente necessarie e tendenzialmente finalizzate a ridurre l’incidenza delle azioni di degrado sulle superfici;
• Compatibilità tecnologica tra materiali esistenti e materiali di apporto in fase di manutenzione;
• Tendenziale reversibilità dei materiali/prodotti di nuovo apporto in caso di accertato errore;
• Distinguibilità tra superfici esistenti e superfici di nuovo apporto o integrazione.
© architetto Michele De Lucchi S.r.l.
Particolarmente impegnative le facciate su piazza Belgiojoso e via Morone, caratterizzate dalle splendide decorazioni in terracotta di Andrea Boni (1864). Compiuti i necessari rilievi analitici sui degradi, anche attraverso indagini di laboratorio, si è proceduto a una pulitura superficiale, al consolidamento corticale e in profondità, all’integrazione delle parti mancanti con calchi e idonei trattamenti superficiali. Sulle superfici intonacate è stata prevista la pulitura, la riadesione in profondità delle aree distaccate, il consolidamento corticale e l’applicazione di una velatura inorganica, con lo scopo di uniformare i cromatismi e ridurre le difformità cromatiche degli intonaci originali.
Le superfici interne della Casa sono caratterizzate da vari tipi di decorazione (a mezzo fresco, a secco, a stucco lucido finto marmo ecc.) su diversi supporti (a intonaco, in legno a cassettoni), che hanno richiesto, a livello di restauro, operazioni di preconsolidamento delle superfici particolarmente degradate, l’asportazione dei depositi superficiali più incoerenti depositati sulla superficie pittorica, la pulitura (a secco, a impacco) delle superfici dipinte. Infine si è operato il consolidamento in profondità delle aree in fase di distacco, il consolidamento della pellicola pittorica, la stuccatura delle lesioni e l’integrazione pittorica delle lacune.