Degli Inni Sacri del 1815, La passione è quello dall’elaborazione più lunga, se non più complessa. Iniziato il 3 marzo 1814, fu concluso nell’ottobre dell’anno successivo.
È il venerdì santo. Il poeta si rivolge alla comunità dei fedeli perché, senza aspettare il richiamo delle campane (che quel giorno tacciono) si raduni nella chiesa, anche se disadorna. In essa viene letto il carme del Servo di Isaia (strofe 1-2): l’uomo disprezzato, reietto, abbandonato da Dio e dagli uomini di cui parla il profeta si rivela ora essere Cristo, il giusto, il santo annunciato dai profeti; egli nonostante la sua natura divina, ha deciso liberamente di assumere anche la persona umana e di conoscere il dolore, la vergogna, la morte pur di salvare l’umanità intera. Come narrato nei Vangeli, egli accettò l’abbandono da parte del Padre, il tradimento del discepolo Giuda (subito dilaniato dal rimorso), gli insulti crescenti dei suoi persecutori, sopportò di essere vittima dei calcoli utilitaristici di Pilato, convergenti con la richiesta di condanna da parte del popolo ebreo, che volle essere ritenuto responsabile di quell’omicidio. Non appena Egli morì, l’ira di Dio si manifestò, ma il poeta prega che ora essa si trasformi in misericordia e che il sangue di Cristo cancelli il peccato di tutti, Ebrei e non; e chiede l’intervento di Maria, «regina dei mesti», perché interceda per la salvezza eterna e aiuti ad accettare i dolori della vita presente come pegno della gloria futura.
Inni Sacri e Odi Civili. Introduzione e commento di Pierantonio Frare, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani, 2017, vol. 1 dell’Edizione Nazionale, p. 35.