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08 Settembre 2022 / Eventi

Nel nome di Maria 8 - 12 settembre

 

Nel nome di Maria
8 - 12 settembre

Le due ricorrenze liturgiche, che documentano nei secoli la devozione popolare alla Vergine, si susseguono a breve distanza di tempo: la festività del Nome di Maria, istituita dal papa comasco Innocenzo XI (1611 – 1689), è stata collocata con decreto di Pio IX nell’ottava della Natività, che, come ricorda la dedicazione del Duomo di Milano, ricorre l’8 settembre: sarà Pio X a farne «una ricorrenza fissa al 12 settembre; ma già ai tempi di Manzoni il messale ambrosiano la collocava in quella data». 
Il codice degli Inni Sacri racconta la lunga e ripida elaborazione di questo secondo inno, tra il 6 novembre 1812 e il 19 aprile 1813, in un metro irripetuto da Manzoni, la strofa saffica con in quarta sede un settenario. Si tratta forse, come già suggerito, di un ricalco ritmico di un versetto del Magnificat, il salmo poetico di Maria: ecce enim ex hoc beatam me dicent /omnes generationes.
Forse lo scabro metro, non frequente nella tradizione poetica italiana, è uno dei motivi che persuasero Monaldo Leopardi a escludere Il Nome di Maria, dalla sua devotissima quanto abusiva ristampa (Macerata, 1828) dei «canti» (il figlio Giacomo ne farà il suo titolo solo nel 1831) del «poeta cristiano».
Le lettrici (e anche i lettori) possono tornare su questi 84 versi, accompagnate con religiosa e letteraria dottrina dal commento di Pierantonio Frare (2017 – Edizione Nazionale delle Opere di A. M., vol. 1). Potranno avvertire come nell’incipit, «Tacita un giorno a non so qual pendice / salìa d’un fabbro nazaren la sposa; salìa non vista …», si annunci una sconosciuta, sottaciuta, in un tempo (era detto in tre precedenti strofe espunte) in cui trionfavano nel mondo il nome di Roma e la dolce vita (è un prestito dantesco… non felliniano).
E si dovrebbe, tutti, unire questo ingresso in umiltà felice alla proclamazione provvidenziale: «tanto piacque al Signor di porre in cima / questa fanciulla ebrea»: in sintonia anche con il riconoscimento, sancito da Napoleone (e non sconfessato al Congresso di Vienna), dei pieni diritti civili a quel popolo ingiustamente ghettizzato.

L’appellativo beata scandisce l’inno, e si arresta dubbioso sull’absurdum cristiano, sempre pulsante in Manzoni, del divino «prego inesaudito» del Figlio di Maria: sono trascorsi vent’anni, siamo al congedo di Enrichetta: nella stampa 1815  «Tu pur, beata, un dì provasti il pianto», nel segretato Natale del 1833, «Ma tu pur nasci a piangere».

Manzoni improvviserà, «probabilmente» su richiesta di Giulietta, un rapido ma denso inno in ottonari, a Brusuglio, il 10 settembre 1823, dunque alla vigilia della festa del Nome di Maria: «Santo nome, in fra i mortali, / quale è il nome che ti avanza? / Tu sei nome di speranza, / tu sei nome di pietà».
Ma il più sublime, il supremo, inno alla Vergine Manzoni lo eleva (è un verbo che stacca da terra) in Ognissanti: sono versi che ’accostano in ascesa avvolgente alla Madonna sulla cuspide del Duomo: interpretando con poesia teologica (solo a Lui possibile, dopo Dante) il dogma dell’Immacolata, ne fissano lassù la proiezione al di sopra di tutti i santi, al di sopra dei colpevoli e pur perdonati limiti umani: «Tu sola più su del perdono / l’Amor che può tutto locò».

Li ha incisi Manzoni: non su una lapide, nell’orizzonte di chi sa vedere in alto.

(Angelo Stella)

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