07 giugno 2021 / News
Quando scriveva Del Trionfo della Libertà Alessandro Manzoni era «nell’anno quindicesimo dell’età sua», ma sentiva il suo poema (non dicasi poemetto, che si direbbe corto) testimonianaza «di puro e virile animo».
La critica più avveduta vi legge temi e sentimenti che accompagneranno, con più intima e ispirata meditazione, la lunga vita del poeta.
In questo giorno, 5 giugno 2021, è bello rileggere alcuni versi del canto iv, dove è parola dell’Insubria, dopo Marengo (14 giugno), liberata dal dominio delle «Tedesche fiere» (40-41). Manzoni si sarebbe presto redento dal giovanilismo giacobino, e non avrebbe collocato altri popoli, parafrasandosi con Foscolo, tra «le umane belve». Importa forse ricordare che quel nome sarà strappato alla sua penna dalla ‘giustizia’ della Colonna infame: «la fiera aveva mangiato», aveva cioè eseguito «il supplizio del Piazza, del Mora e di qualche altro infelice». Si lascia al lettore il computo del termine preda nell’opera manzoniana, e il peregrinare in campi semantici contigui e opposti. Spostiamoci in un’aria ambiente, come scriveva tra gli altri anche Galileo, più respirabile.
Ambiente da aggettivo è passato a sostantivo, e indica «ciò che ci circonda», di materiale e di spirituale, tuo, mio, nostro, di tutti, perimetrato da aggettivi positivi e negativi, storici e geografici, casalinghi e sociali, paradisiaci e infernali.
Ma liberatosi da questi intrusi di fatto riduttivi Ambiente circonda l’universo, è l’emblema l’universo.
Ecco, identificarlo questo universo con le parole che Manzoni dedicava alla sua Insubria:
gli ubertosi colli e le riviere
ove Natura a sé medesma piace.
Sembra che l’uomo manchi, ma è l’attesa a renderlo presente.
(E Manzoni attende, confortato da Carlo Emilio Gadda, da due secoli di leggere quel suo ritratto auspicio e impegno per la terra lombarda in esergo a qualche documento ufficiale della nostra Regione).
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