<p>Il 14 giugno per Alessandro Manzoni rimaneva il giorno della battaglia di Marengo: aveva scritto quindicenne nel poemetto <em>Del Trionfo della Libertà </em>(IV 72), per ogni nemico dell’Italia, per ogni aspirante invasore: «Rammenta i campi di Marengo, e trema».<br />
Avrà mai ricordato, nella sua lunga vita, che in questo giorno, un mercoledì dell’anno 1837, moriva a Napoli, alla vigilia del suo trentanovesimo anno (29 giugno), Giacomo Leopardi?<br />
Manzoni e Leopardi si sono incontrati a Firenze, come noto, nell’estate 1827, quando da Milano si diffondevano in Italia, a distanza di un mese,<em> I Promessi sposi</em> e le <em>Operette morali</em>. Mai un cenno, neppure nella corrispondenza a oggi nota, dello scrittore ‘romantico’ sullo scrittore ‘antiromantico’: ma è certo che il primo ha sentito parlare dell’altro, e quindi ne abbia detto, nei colloqui con Nicolò Tommaseo e Gino Capponi. Importante, per noi come per De Sanctis (che nelle memorie della <em>Giovinezza</em> parla della morte del poeta a lui già caro per Consalvo), è l’analisi delle ragioni per cui la conoscenza di Leopardi sia sempre più indispensabile, vulgate scolastiche a parte, per riconoscere, a confronto e a contrasto, la più difficile grandezza di Manzoni.<br />
È bello oggi ricordare, come una imprevedibile casualità o forse riparazione critica, riduca le distanze, e traduca le differenze in specularità. Il padre di Giacomo, Monaldo Leopardi, appassionato lettore del «Poeta grande saggio, e cristiano, nella premessa a una ristampa del 1828 di quattro <em>Inni Sacri</em> (escludeva Il Nome di Maria), li definiva <em>Canti</em>, prima che il figlio collocasse per sempre nella storia della poesia quel titolo.<br />
L’ultimogenita di Alessandro Manzoni e di Enrichetta Blondel, avrebbe incrinato il silenzio del padre&nbsp; – quasi volesse prepararsi a un colloquio con lui – nelle appassionate pagine superstiti del suo <em>Journal</em>. Alla data di lunedì, 13 gennaio annotava:&nbsp;</p>

<p>J’ai lu ce matin quelques unes des poésies de Leopardi, je les trouve bien belles et bien tristes!... Les <em>Ricordanze</em> entr’autre déchirent le coeur! Je les ai copies dans mon recueueil!...</p>

<p>Ho letto questa mattina alcune poesie di Leopardi, le trovo bellissime e tristissime!... Le <em>Ricordanze</em>, in particolare, lacerano il cuore. Le ho trascritte nella mia raccolta personale!..&nbsp;</p>

<p>E alla nipote Enrichetta, figlia della sorella Cristina moglie a Cristoforo Baroggi, scriveva il 2 ottobre 1854, con un virgolettato mentale: «non dimenticherò mai il caro tempo che ci ho passato», dove era ed è da avvertire il prelievo, autobiografico, da <em>Le Ricordanze</em>: «e intanto vola / il caro tempo giovanil; più caro / che la fama e l’allor, più che la pura / luce del giorno».<br />
Forse il lontano padre, in trepido ascolto del richiamo e dell’attesa della figlia, farebbe sue ora le parole di Cesare Garboli, a premessa della sua edizione del <em>Journal</em> di Matilde (Adelphi, 1992):</p>

<p>quello che colpisce, nel leopardismo di Matilde, non è la sua quotazione letteraria. È l’unicità, l’irripetibilità del momento, del tempo in cui Matilde legge i <em>Canti</em>: il momento perfetto, magico in cui questa lettura cade. Nessuno ha mai letto i <em>Canti </em>come Matilde, e nessuno potrà più farlo.</p>

<p>Sia lecito <em>fingere</em>, al limite della certa improbabilità, che quella copia dei <em>Canti</em> fosse un dono a Matilde del padre, Alessandro Manzoni. (as)</p>

Anno
1800-1837
Date
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