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31 gennaio 2023 stele "riparatrice" della Colonna infame

Oggi, alle 12, è stata collocata a Palazzo di Giustizia di MIlano, la stele qui riprodotta in immagine.

È il risultato di una proposta del Centro Nazionale Studi Manzoniani, condivisa dall'Ordine degli Avvocati, e approvata dalla Magistratura.

Si allegano alcune riflessioni dedicate a questo avvenimento.

"I Promessi sposi sono il romanzo della giustizia" (Giovanni Bazoli)

"La città di Milano tardivamente intitolava una via a Gian Giacomo Mora con una targa dove ancora si può leggere un severo quanto ispirato giudizio di Alessandro Manzoni:

        è un sollievo il pensare che, se non seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell’ignoranza che l’uomo assume e perde a suo piacere, e non è una scusa, ma una colpa.

Corrado Staiano ricorda Gian Giacomo Mora nel saggio del 2009, La città degli untori, dove rende omaggio con sapienza storica e giuridica a Guido Galli. Oggi, a fianco di lui, viene collocata in questo Palazzo della Giustizia una stele, diciamo, una stele d’inciampo, per una commossa giustizia riparatrice. Cesare Beccaria le tuteli, perché ricordino a tutti gli ospiti di questo santuario civile sentimenti di umanità nel riconoscimento dei colpevoli e degli offesi.

Alessandro Manzoni, il 24 aprile 1821, iniziava la stesura del suo sofferto romanzo. Il 30, l’amico Ermes Visconti ne scriveva a Victor Cousin, evidenziandone un contenuto essenziale:

         il famoso processo che noi chiamiamo della Colonna infame, capolavoro di autoritarismo (autorité), di superstizione e di bestialità. (bêtise: di ignoranza e crudeltà).

Solo vent’anni più tardi, nel novembre 1842, quella Storia, speculare e inscindibile dal romanzo, sarà interamente proposta ai lettori. Nel gennaio successivo, un intellettuale cattolico francese ne scriveva a Manzoni: «il silenzio si è fatto in Europa», un silenzio di stupore e ammirazione. E lui rispondeva: in Italia regna un silenzo di indifferenza e incomprensione.

Manzoni aveva scritto una Appendice storica sulla Colonna infame mentre a Milano si processavano Confalonieri e Pellico: sapeva, dalla Rivoluzione francese,  della giustizia dei regimi oppressori, anche di quello di una Chiesa inquisitrice e non sua. Da fedele pascaliano se lo chiedeva ogni giorno, e se lo è chiesto per il povero Mora, che, come aveva scritto nel De peste Giuseppe Ripamionti:

          invocava la giustizia di Dio contro una frode, contro una maligna invenzione, contro un'insidia nella quale si poteva far cadere qualunque innocente.

Nel silenzio di Manzoni si deve ascoltare una domanda: ma Dio dov’era?  Affidata la domanda nel 1842 a parole che oggi si soffrono nella memoria di troppi olocausti:

          cercando un colpevole contro cui sdegnarsi a ragione, il pensiero si trova con raccapriccio condotto a esitare tra due bestemmie, che son due deliri: negar la Provvidenza, o accusarla.

Quanti si saranno chiesti, timorosamente, leggendolo: la Giustizia dov’era? Possiamo chiederci, civilmente: dov’è la Giustizia?

Molte delle parole inscritte in questa stele sono di Manzoni, anche pregiudizi e fantasmi, da ben comprendere nella loro intensità e nella loro estensione. Se ne sarebbero potute incidere altre, magari irreligione. Ma nella legalità democratica una non più essere inscritta: rassegnazione.

           quel dono che, nell'ingiustizia degli uomini, fa veder la giustizia di Dio.

Manzoni non connota nel 1842 il termine e il concetto di Giustizia: neppure un aggettivo. Ma l’aveva siglata, nel tempo ‘eretico’ del Fermo e Lucia, con una assoluta condanna per i giudici.

            Nel caso nostro … è cosa utile il poter giudicare e definire empia la condotta di quei giudici, è cosa utile, e nella lurida tristezza dell’argomento, è cosa consolante.

L’aggettivo empia nega la pietà, parola e concetto che si scoprono ripensati da Corrado Staiano e, prima di lui, con la sensibilità sua, da Mino Martinazzoli, nel 1985, anniversario, come il presente, manzoniano.

            Se non ci lasciamo indurre alla tentazione di questa transìitiva pietà, suona falso il cordoglio per le vittime e l’orrore per i carnefici. La Storia della Colonna infame non è altro che l’allegoria della notte                         indecifrata che ci lambisce.

Nella Storia della Colonna infame sia il sostantivo pietà sia l’aggettivo che la nega decadono. Si ha misericordia, altro termine non giuridico, inascoltato nel 1630, improponibile oggi. Forse Manzoni, con la stele che viene in questo 31 gennaio 2023 qui collocata, dai «responsabili difensori della Giustizia», si permette di suggerire che il giusto giudizio, proprio perché non può cancellare le sofferenze delle vittime, non le deve, le sofferenze, infliggere ai colpevoli". (Angelo Stella)